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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-02-09

Il 30% non arriva ai rubinetti, per un valore di quasi 2,5 miliardi:

in Germania meno del 7%

Acqua, la rete colabrodo e la privatizzazione fantasma

Sprechi e giungla di tariffe. Ma nelle società domina il pubblico

ROMA — Niente accomuna oggi trasversalmente la sinistra e la destra come l’acqua.

Se il "religiosissimo " (autodefinizione) governatore della Puglia Nichi Vendola azzarda un paragone blasfemo, dicendo che "privatizzare l’acqua è una bestemmia in chiesa",

una liberista come Emma Bonino non esita a liquidare così la faccenda: "Mancano le condizioni ". Mentre la Lega, che per lealtà ha dovuto ingoiare il boccone amaro, votando la legge che potrebbe trasferire in mani private la gestione delle risorse idriche, comincia a intuire quanto rischia di rivelarsi indigesto. E anche molti amministratori locali del Pdl storcono il naso.

Maxi traffico di rifiuti: indagato Stenio Marcegaglia, padre di Emma

L'inchiesta, partita dalla morte di un operaio in un impianto di Scarlino dove venivano trattati rifiuti speciali pericolosi in maniera non corretta, ha permesso di accertare un colossale movimento di materiali altamente tossici.

Coinvolte grosse industrie tra le quali la Lucchini:

tra gli indagati anche Stenio Marcegaglia, padre del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia

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Studio Tecnico

Dalessandro Giacomo

40° Anniversario - SUPPORTO ENGINEERING-ONLINE

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Il Mio Pensiero:

 

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2010-02-09

 

 

 

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2010-02-09

Il 30% non arriva ai rubinetti, per un valore di quasi 2,5 miliardi: in Germania meno del 7%

Acqua, la rete colabrodo e la privatizzazione fantasma

Sprechi e giungla di tariffe. Ma nelle società domina il pubblico

 

Acqua, la rete colabrodo e la privatizzazione fantasma

Sprechi e giungla di tariffe. Ma nelle società domina il pubblico

ROMA — Niente accomuna oggi trasversalmente la sinistra e la destra come l’acqua. Se il "religiosissimo " (autodefinizione) governatore della Puglia Nichi Vendola azzarda un paragone blasfemo, dicendo che "privatizzare l’acqua è una bestemmia in chiesa", una liberista come Emma Bonino non esita a liquidare così la faccenda: "Mancano le condizioni ". Mentre la Lega, che per lealtà ha dovuto ingoiare il boccone amaro, votando la legge che potrebbe trasferire in mani private la gestione delle risorse idriche, comincia a intuire quanto rischia di rivelarsi indigesto. E anche molti amministratori locali del Pdl storcono il naso.

Il paradosso è che niente, come l’acqua, divide gli italiani. Basta dare un’occhiata al Blue Book del centro di ricerca Proacqua per rendersi conto di come l’unità "idrica" del Paese non si sia mai realizzata. A Milano si pagano tariffe pari a un quarto di quelle di Terni, che sono appena più alte rispetto alle bollette di Latina. O di Agrigento, dove l’acqua è un bene raro e prezioso. Per non parlare degli sprechi. Ogni anno, secondo un documento della Confartigianato, il 30,1% dell’acqua immessa in rete non arriva ai rubinetti: per fare un paragone europeo, in Germania le perdite non arrivano al 7%. Come se buttassimo dalla finestra 2 miliardi e 464 milioni, somma che basterebbe a compensare l’abolizione dell’Ici per la prima casa. Chi è responsabile? Reti colabrodo, investimenti carenti, una gestione spesso sconsiderata. I colpevoli sono diversi, e tutti in qualche modo imparentati con l’azionista pubblico. Problemi così grandi che la buona volontà, senza i soldi, serve a poco. In tre anni l’Acquedotto pugliese, il più grande d’Europa con i suoi 20 mila chilometri di rete, è riuscito a recuperare 40 milioni di metri cubi di perdite. Le quali sarebbero così scese al 35% dal 37,7%. Bene. Anzi, benissimo. Ma se ai tubi rotti e agli allacci abusivi si sommano le perdite amministrative, calate comunque dal 12,8% all’ 11,8%, l’emorragia economica dell’azienda sfiora ancora il 47%.

Tutto questo rende difficilmente comprensibile, al di là delle pur rispettabili opinioni ideologiche, la sollevazione bipartisan contro la privatizzazione del servizio, con la motivazione che ciò esproprierebbe i cittadini di un bene pubblico vitale a vantaggio di imprese che hanno il solo obiettivo del profitto. Privatizzazione che peraltro in Italia, a dispetto di quello che si immagina, è ancora una illustre sconosciuta. Prendiamo il caso di Agrigento, dove si pagano le tariffe fra le più alte d’Italia, con una media di oltre 400 euro l’anno a famiglia per un servizio, come ha dimostrato il bel servizio trasmesso da Presa diretta di Riccardo Iacona, di qualità inaccettabile. Ebbene, da tre anni la gestione è appaltata a una società "privata", la Girgenti acque, che opera in perdita. Ma di "privato " ha il nome e gli azionisti di minoranza. Perché il 56,5% è controllato dalla Acoset spa, società dei Comuni catanesi, e dalla Voltano spa, a sua volta di proprietà dei Comuni agrigentini. Che della Girgenti acque hanno anche la gestione: presidente e amministratore delegato sono infatti i manager delle due società comunali, Vincenzo Di Giacomo e Giuseppe Giuffrida.

In Acqualatina, società che gestisce le risorse idriche nell’area pontina, la gestione è invece nelle mani del socio privato. È la francese Veolia, che con il 49% delle azioni esprime l’amministratore delegato Jean Michel Romano e deve convivere con una situazione molto curiosa, per un azionista privato: gestire un’azienda di cui è presidente un senatore, Claudio Fazzone del Pdl. Nel 2008 Acqualatina ha perso 4,4 milioni e ha dovuto varare un piano di lacrime e sangue. Nonostante tariffe astronomiche.

Dimostrazione che nemmeno i privati, in un sistema come il nostro, hanno la bacchetta magica. Ecco perché prima di tutto sarebbe il caso di risolvere il problema della regolamentazione del FarWest dell’acqua, affidando a un’autorità indipendente il compito di stabilire tariffe eque e imporre la decenza del servizio. Se anche qui si vuole aprire il capitolo dei privati, è uno strumento fondamentale per mettere al sicuro da ogni rischio l’uso di un bene vitale. C’è per il gas e l’elettricità. Perché non per l’acqua? O si vuole ripetere l’errore già compiuto in occasione di altre privatizzazioni?

Sergio Rizzo

09 febbraio 2010

 

 

 

 

 

 

 

a fil di rete

Scandalo dell’acqua: ce lo spiega Iacona

In Italia non si privatizza la Rai perché la si considera un servizio pubblico ma si privatizza l’acqua

a fil di rete

Scandalo dell’acqua: ce lo spiega Iacona

In Italia non si privatizza la Rai perché la si considera un servizio pubblico ma si privatizza l’acqua

Forse il governo, nell’approvare la legge che impone agli enti locali di privatizzare la gestione delle risorse idriche, ha tenuto conto del loro valore materiale ma ha sciaguratamente sottovalutato il valore simbolico. Una comunità si regge anche sui simboli, sui miti, su un immaginario condiviso. L’acqua, in tutte le culture, in tutte le religioni, è considerata un elemento sacro, un simbolo spirituale. Basta aprire il libro della Genesi per capire il ruolo essenziale riservato al tema: "L’acqua che punisce, l’acqua che salva e purifica". L’acqua è la vita, ma l’acqua del diluvio è anche il castigo supremo.

Riccardo Iacona, con Domenico Iannacone, Danilo Procaccianti, Vincenzo Guerrizio ci hanno offerto un amaro documentario sulla commercializzazione delle acque: "Acqua rubata " ("Presadiretta", Raitre, domenica, ore 21.30). Ad Agrigento, con le tariffe più costose di Italia l’acqua arriva a singhiozzo, e di un colore ributtante; ad Arezzo, le bollette sono molto salate e gli investimenti dell’azienda che distribuisce l’acqua sono sotto la media nazionale; ad Aprilia il consiglio di Stato ha dato ragione al comitato dei cittadini e al movimento dei sindaci che si battono per riprendersi la gestione dell’acqua. Intanto le società che producono e imbottigliano acqua minerale pagano alle Regioni canoni ridicoli per l’utilizzo delle sorgenti. Con guadagni esorbitanti (in proporzione, al ristorante l’acqua costa molto più del vino). Se lo stesso argomento fosse stato affrontato in un talk show non avremmo capito nulla: fra tesi contrapposte, vince non chi ha ragione ma chi è più convincente ed efficace nel sostenere le sue ragioni. Con l’inchiesta è diverso: il genere comporta un’assunzione di responsabilità. In Italia non si privatizza la Rai perché la si considera un servizio pubblico ma si privatizza l’acqua.

Aldo Grasso

09 febbraio 2010

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-02-09

GROSSETO

Maxi traffico di rifiuti: indagato

Stenio Marcegaglia, padre di Emma

L'inchiesta, partita dalla morte di un operaio in un impianto di Scarlino dove venivano trattati rifiuti speciali pericolosi in maniera non corretta, ha permesso di accertare un colossale movimento di materiali altamente tossici. Coinvolte grosse industrie tra le quali la Lucchini: tra gli indagati anche Stenio Marcegaglia, padre del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia

Grosseto. Un colossale traffico di rifiuti con grandi nomi dell'industria coinvolti. La maxi operazione partita da Grosseto in seguito all'inchiesta provocata dalla morte di un operaio nell'impianto di trattamento di Scarlino dove vennero trovate centinaia di migliaia di bombolette spry smaltite illecitamente, si sta allargando a mezza Italia: 61 le persone coinvolte, tra i quali Stenio Marcegaglia, padre del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, 20 le aziende, 17 i provvedimenti cautelari e 3 i sequestri preventivi.

L'operazione "Golden Rubbish", coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto e condotta dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente (C.C.T.A.), ha fermato un'organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti speciali, anche pericolosi, costituita in Toscana ed avente diramazioni in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Trentino - Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Campania, Lazio, Abruzzo e Sardegna.

Il traffico di rifiuti accertato negli ultimi anni è stato stimato in circa un milione di tonnellate, con un lucro di svariati milioni di euro ed un consistente danno all'Erario per l'evasione dell'ecotassa, oltre, naturalmente, ai gravi danni provocati all'ambiente.

L'indagine, originata da uno stralcio della Procura della Repubblica di Napoli concernente la movimentazione dei rifiuti prodotti dalla bonifica del sito contaminato di Bagnoli, si è sviluppata in Toscana, individuata quale destinazione finale dei rifiuti.

Dalle attività investigative svolte dal N.O.E. di Grosseto (in collaborazione con altri Nuclei del centro e nord Italia) è emerso come la struttura organizzativa fosse imperniata sul ruolo di una società di intermediazione maremmana, proprietaria anche di un impianto di trattamento, la quale, avvalendosi di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, regolava e gestiva i flussi dei rifiuti.

 

Questo avveniva attraverso una sistematica falsificazione di certificati di analisi, formulari di identificazione e registri di carico e scarico al fine dell'attribuzione di codici di rifiuto non corretti, così da poter essere dirottati soprattutto in siti di destinazione finale compiacenti in Toscana, Trentino - Alto Adige ed Emilia Romagna.

Come si è detto il giorno della tragedia di Scarlino, la triturazione non corretta di circa 100 tonnellate di bombolette provocò la fuoriuscita di propano producendo una miscela esplosiva pericolosissima che esplose.

Furono i Vigili del Fuoco, che per domare le fiamme e bonificare l'intera area, avevano impiegato quasi una settimana di lavoro, a scoprire la situazione e a dare l'allarme ai carabinieri del Noe

che accertarono che l'impianto era utilizzato per smaltire illecitamente rifiuti pericolosi, costituiti principalmente da terre e rocce provenienti dalle bonifiche di distributori di carburante. E tutto questo senza che fosse effettuata alcuna operazione di carico e scarico dei rifiuti e di conseguenza senza l'effettuazione di operazioni di trattamento o di inertizzazione utilizzando false certificazioni analitiche.

Lo smaltimento di rifiuti pericolosi in discariche per rifiuti non pericolosi, permetteva l'abbattimento dei costi di gestione e, in parte, l'elusione dell'ecotassa. Altro filone investigativo è quello che riguarda una industria metallurgica di Ravenna che aveva la necessità di smaltire un cumulo di quasi 100.000 metri cubi di rifiuti, stoccati in un'area interna allo stabilimento.

Il cumulo di rifiuti era stato provocato da lavori di sbancamento effettuati nel corso di vari anni e contaminato da mercurio, idrocarburi e da altri inquinanti.

Analoga situazione è stata accertata a Trieste, dove si è svolta l'intermediazione e l'individuazione di siti di smaltimento dei rifiuti provenienti dallo stabilimento di un'industria siderurgica, classificato quale sito di bonifica di interesse nazionale. I rifiuti venivano solo parzialmente smaltiti in discariche, classificandoli sempre con codici non pericolosi, mentre la maggior parte venivano stoccati all'interno dello stabilimento, realizzando vere e proprie discariche abusive.

Rifiuti che venivano miscelati tra di loro al fine di abbassarne i parametri di pericolosità e, attraverso campionamenti non rappresentativi e la compiacenza di intermediari e di siti di smaltimento, venivano inviati ad impianti non idonei a riceverli, sempre con lo scopo di risparmiare notevolmente sui costi di smaltimento finale.

La reazione della Lucchini

La Lucchini intanto, dopo che la procura ha disposto gli arresti domiciliati per il direttore dello

stabilimento siderurgico di Servola, Francesco Rosato, e per il responsabile Ecologia ed Ambiente, Vincenzo D'Auria, ha ricordato che "si tratta di un'indagine avviata alcuni mesi fa

dai Noe di Grosseto su tutto il territorio nazionale" ed è in relazione "ad un ipotetico traffico illecito di rifiuti che coinvolge numerose industrie italiane".

Attraverso i suoi legali, la Lucchini - continua una nota - "ha immediatamente fatto istanza di riesamina del provvedimento, certa della assoluta estraneità dei suoi dirigenti coinvolti, loro

malgrado, in un'indagine che chiama direttamente in causa società regolarmente autorizzate, alle quali la Lucchini e numerose altre imprese italiane hanno affidato i servizi di smaltimento dei rifiuti".

Smentito infine dall'azienda che che vi siano altri collegamenti con l'attività produttiva dello stabilimento di Servola e ha precisato "che ulteriori notizie pervenute agli organi d'informazione sono del tutto infondate".

(09 febbraio 2010)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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